Tra arte, uomo e natura, l’urlo tacito dello scultore Osvaldo Moi

di Monica Nucera Mantelli

Sabato 18 settembre 2021 alle ore 10 si inaugura a Pianezza (TO) la sua nuova opera di arte pubblica.

I messaggi artistici che vengono trasmessi nel contesto dei patrimoni naturalistici hanno da sempre una doppia efficacia. Da una parte invitano le persone a condividere spazi di fascino e benessere – luoghi popolati da alberi, arbusti, piante, fiori e creature del regno animale. Dall’altra ci permettono di entrare in quell’iconografia che da millenni viene utilizzata dall’uomo come codice primario di comunicazione.

Le vaste incisioni rupestri ne sono un esempio, così come la mitologia universale, intrisa sin dalla notte dei tempi di commistioni e trasformazioni da uomini a piante ed animali (e viceversa). E ben sappiamo che dal Medioevo in poi proliferano anche i “bestiari” ovvero i calembour di creature fantastiche e chimere impossibili, nate dall’unione tra uomini/dei/semidei e altri esseri viventi provenienti del mondo vegetale o animale. Fauno, centauro o sirena sono solo esempi di questi incroci surreali decantati sia dal più recente scrittore J.L.Borges (che ne ha inventati tanti altri) e già magistralmente iconizzati assai prima dal pittore J.Bosch.

Già solo questi riferimenti possono introdurci meglio al peculiare linguaggio plastico dell’artista di cui stiamo per raccontarvi. Ma prima dobbiamo focalizzare meglio il contesto in cui opera, ovvero l’Italia, un Paese che il mondo intero ci invidia anche perché ricolmo di distese boschive, percorsi fluviali, laghi e stagni naturali e/o artificiali. Eppure, ciò nonostante, sono ancora pochi gli artisti italiani che anziché privilegiare musei e piazze si rivolgono a questo straordinario universo di biodiversità per collocare opere e lanciare per suo tramite manifesti e denunce di impegno sociale.

Lo scultore Osvaldo Moi, nato a Silius, Sardegna nel 1961, è uno di questi. E sabato 18 settembre 2021 alle ore 10 inaugurerà a Pianezza (TO), alla presenza delle istituzioni locali, nell’aiuola verde della rotonda tra Strada della Cortassa e viale Aldo Moro, una sua nuova opera di arte pubblica dal titolo “La Famiglia”. Una famiglia intesa nel senso più vasto del termine perché implicitamente rimanda al concetto di armonia mundi. Per questo scultore è importante tributare qualsiasi nucleo familiare che finalmente, dopo il lock down, sia tornato a fruire dell’aria aperta e della natura. Il progetto – che consta in 5 figure umane più un canide realizzato in ferro da 5 mm – è anche un omaggio alla grande forza della figura femminile, sovente vittima di violenze, e per tale motivo è stato realizzato in modalità totemica: la Donna infatti è alta ben 2,50 mt!  E l’Uomo, in quanto figura maschile, non l’ha dimenticato. E’ oltre la rotonda: guarda la sua famiglia, la sua donna, i suoi figli e il suo cane, con amore e ritrovata armonia.

Spiega l’artista: “Ho concepito l’opera nel suo contesto green e quell’immagine di verzura ha cancellato il cemento tutt’intorno. Mi servita quell’ isola salvifica! Mi è passato sotto gli occhi un cortometraggio a colori: su quel prato tondo ho visto alcune gioiose silhouette in controluce, dei profili viventi che giocavano in lontananza. Li ho visti vivi, in movimento, sprigionanti allegria. Corpi che festeggiavano la libertà dopo un lungo tempo di chiusure e divieti. Ho riportato l’idea su un pezzo di carta e quel fermo immagine l’ho poi tracciata su un A4. Ho condito il tutto con un filo logico e questo ha conquistato gli addetti ai lavori. Il Sindaco si è entusiasmato, il budget è rimasto sempre stringato, ma almeno ho avuto la possibilità di dare espressione a quel desiderio globale di evasione.”

L’opera pubblica di Osvaldo Moi si colloca in un contesto geo-strategico: l’area di Pianezza, come altre zone dell’area metropolitana torinese, offre un paesaggio agricolo estremamente strutturato, in cui gli elementi che lo compongono sono prodotti dalla mano dell’uomo: ma questa impronta antropica non è di per se stessa un fattore negativo. Questo Comune è infatti uno degli oltre 90 compresi nel grande programma della Corona Verde, che nell’area metropolitana torinese ha tentato negli anni, oltre che di ricucire ferite e rinaturare luoghi degradati, di creare collegamenti fisici tramite greenways per rendere connessi proprio i luoghi antropici con i tanti elementi naturali presenti. Si tratta quindi di un territorio collocato in particolare in quella grande piattaforma pianeggiante che affaccia allo sbocco della Valle di Susa, in un crocevia che vede il passaggio dell’anello ciclabile della Corona di Delizie, connettendo qui in particolare, la Reggia di Venaria con il Castello di Rivoli “Museo di Arte Contemporanea”, e scavalcando la vicina Dora Riparia. E qui c’è anche il passante del grande itinerario slow della Via Francigena.

Dunque, si comprende come anche la Natura antropizzata, magari proprio quella che abbiamo ereditato dalle generazioni pregresse o da soluzioni urbanistiche meno grigie, contribuisce nel processo di coniugazione tra queste due sfere tra uomo e natura. Si pensi alle aiuole, ai parchi e ai giardini! Chi crea arte tridimensionale quindi – makers, scultori, designer o architetti che siano – ha la possibilità, attraverso le giuste scelte di collocazione, di aggiungere a questa società in demolizione un stimolante collante naturale. Una resina etica che aggiunga una coniugazione e un trattamento unitario delle reciproche istanze, cooperando alle azioni per la resilienza, lo sviluppo sostenibile e in generale al miglioramento della qualità della vita di tutti.

Sia chiaro: la produzione artistica di Osvaldo Moi non è bucolica. Può in apparenza sembrare briosa al punto da risultare “leggera”. Ma in realtà questa apparente giocosità è una provocazione profonda. Un black humour: una parodia pop per esorcizzare il male e la morte. Molta della sua arte sembra infatti atta a scongiurare, proteggere e tutelare la vita. Se si guarda ad esempio alle sue sculture dedicate agli animali – escargot, istrici, ricci e altre piccole creature – notiamo che egli predilige quelle che portano con sé una schermatura, un guscio, una calotta di protezione, come nel caso delle conchiglie tritoni o dogli dei suoi cromaticissimi paguri, peraltro in esposizione collettiva presso la Società Promotrice delle Belle Arti di Torino a partire da mercoledì 15 settembre 2021.

Ora, che si tratti di un guscio di carapace o di un vello ispido, poco importa. Questo scultore che nella vita ha volato per mestiere su cieli di guerra, ha visto ciò che nella vita ci si augura di non vedere mai: terremoti, roghi, inondazioni: Calamità tutte caratterizzate da distruzione.

Resosi conto che il mondo necessita di custodire questa moltitudine vivente, Moi prende queste creature sotto la sua ala – (significativo il suo pilotare gli elicotteri per mestiere) – e cerca, in una simbolica azione vivacizzante: al posto delle chiocciole mette foulard arrotolati, al posto degli aculei mette matite colorate e così via. Il suo intento è rendere meno incombente l’emergenza in cui versa i Creato. Il lavoro racconta di rivisitazioni del vivente e in alcuni casi le sue mani arrivano a simulare con le dita persino dei mudra, come nel gesto popolarmente definito “delle corna” noto in meditazione come l’Apaan Mudra, o Mudra dell’Energia o Mudra della Purificazione.

In Moi c’è sempre un manifesto. Un urlo tacito. Una denuncia sottaciuta. Che a volte viene anche dichiarata a tinte forti. Come scrive bene l’attore e regista teatrale Massimo Ghini, in lui coesiste “la pazzia, ma nella sua accezione più alta, più poetica, più “shakesperiana” in cui al Fool e’ data la magia del capire, del vedere cio’ che gli umani non capiscono e non vedono. Il movimento, l’armonia l’ironia anche lo sberleffo compongono un mondo di figure sfigurate, in una lenta trasformazione da oggetto a soggetto, senza pudori o formalismi. Una lenta ma inarrestabile tendenza alla trasformazione, al cambiamento, all’imperfezione alla disconoscenza, alla provocazione quindi alla non conformità anticamera chiara alla patente di follia. Quella follia, che se solo fosse minimamente interpretata, salverebbe il mondo che tanti “sani” contribuiscono a distruggere.”

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