OSVALDO MOI. NUOVI ITINERARI DELL’ESISTENTE

Riscrivendo nuove mappe e nuovi itinerari dell’esistente, sovente nel tentativo di giungere alla costruzione di aggregati sostanzialmente fantastici (come nel caso delle sue creature ibride quali le escargot e i paguri), all’artista Osvaldo Moi appare urgente l’esigenza di equilibrare il rapporto tra tutti gli esseri viventi, quasi al fine di plasmare nuove visioni dell’esistere.
Mondi che, raccontano per sintesi due concetti, come per l’endiadi. I suoi lavori da una parte incuriosiscono, avvolti come sono da quell’aura di mistero che apparentemente le circonda (una palla con i piedi di un bimbo? Una lumaca con delle dita al posto delle corna?), dall’altra attraggono inevitabilmente, nell’intento di risvegliare stimoli al pensare/analizzare la realtà, migliorando l’esito del Vivente.


Una condizione destabilizzante, quella della dimensione espressiva, in particolare quella tridimensionale, di questo artista che si pone in una posizione di continuo scacco matto nei confronti di un vivere sempre più ambiguo, infido e sfuggente alla comprensione da parte dell’essere umano. Moi invita l’osservatore a spostare ulteriormente il proprio punto di vista nei confronti del mondo. Lo conduce in una dimensione metaforica, fatta di forme e colori fuori dall’osservazione convenzionale, determinando un forte spaesamento.
Ecco perché entrando nei suoi ambienti espositivi a Limone Piemonte e a Torino si comprende immediatamente la sua personale ricerca verso il contraddittorio rapporto tra uomo e società. Di fatto la sua produzione sembra briosa, mentre invece sottende ad una provocazione profonda.
Questo scultore che nella vita ha volato per mestiere su cieli di guerra, ha visto ciò che nella vita ci si augura di non vedere mai: terremoti, roghi, inondazioni. Calamità tutte caratterizzate da distruzione. Proprio perché i fatti di cronaca Moi li ha sovente vissuti in diretta, non può esimersi dallo scavare meandri nel rapporto tra essere umano ed ambiente.

Osvaldo Moi e il suo stile


Anche questo è un argomento quanto mai attuale in un periodo storico come quello odierno, caratterizzato da un clima di crescente schizofrenia. Acutizzata per di più dai mezzi di comunicazione di massa e dai cambiamenti tecnologici moderni. Essi fanno intravedere mondi nuovi con cui risulta sempre più faticoso rapportarsi.
Ora, che si tratti di battaglie fisiche o di ansie e nevrosi personali, oppure ancora di imposizione di violenze o potere, egli procede nella sua narrazione plastica. Una inquietudine data dalle nuance sgargianti, innaturali. Una tracciatura di elementi distonici che traslano le avvisaglie di pericolo, auto-dichiarandosi quasi con una battuta sarcastica. Pertanto, come abbiamo già avuto modo di scrivere altrove, nei suoi lavori si rimane costantemente pervasi da un urlo tacito, da una denuncia sottaciuta.
Ciò nonostante, Osvaldo Moi è ancora un ottimista e crede nella salvezza. E lo stile bizzarro, e a volte ironicamente brutale, non deve fare pensare ad alcuna forma di ingenuità. Con la sua tecnica l’artista addolcisce il messaggio, proprio con l’ironia che lo contorna sempre quando si racconta. Sovente emergono teneri ricordi dell’infanzia.

Monica Nucera Mantelli
Giornalista e critico d’arte
Settembre/Ottobre 2021

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